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Messaggio Da Matilde Dom Ott 06, 2019 4:49 pm

Lo sciamano osservava i bambini e i giovani radunarsi attorno al fuoco, attendendo con pazienza che si placassero abbastanza da permettergli di iniziare la sua storia. Anche diversi adulti sostavano nelle vicinanze, cercando con aria noncurante qualche pretesto per fermarsi in zona ad ascoltare i racconti del vecchio.
Quando fu sceso il silenzio, nella grande sala comune dove il Clan si rifugiava in quelle prime notti autunnali, lo sciamano gettò un pugno di polvere colorata sul fuoco, traendone una nube di fumo e qualche scintilla che, con un sussulto collettivo, catturò l’attenzione e l’immaginazione di tutti i presenti.

“Sapete per quale motivo” iniziò il vecchio, con voce roca “non dovete mai allontanarvi dai fuochi del campo, nelle notti di inverno?
Molto tempo fa, nei giorni del primo gelo, vivevano due bambini, Erik Piede di Lupo e Brenda Occhi di Cerva. Erano fratelli e amavano rincorrersi nelle pianure, facendo continue gare per vedere chi fosse il più veloce; per questo mal sopportavano l’inverno, che li confinava nelle loro tende, e non davano retta volentieri alle raccomandazioni di loro madre di non allontanarsi dal campo. Un giorno, al calare della sera, Brenda aizzò il fratello ad una gara, sfidandolo a raggiungere l’albero più alto della foresta prima di lei. I due corsero via dal campo, in un momento in cui la madre non li osservava; e corsero, e corsero, felici e spensierati, mentre il buio si infittiva attorno a loro e il gelo iniziava a sfiorarli con le sue rigide dita...Corsero tanto, cercando quell’albero, da non accorgersi di aver smarrito la strada del ritorno. Ad un tratto si fermarono in una radura, guardandosi attorno sperduti; e scoprirono di essere lontani da ogni sentiero noto, soli, nella gelida notte. Brenda allora scoppiò a piangere disperata, mentre il fratello tentava invano di consolarla: sapevano che, senza un riparo, sarebbero morti assiderati ben prima dell’alba. Si strinsero tra loro, tremanti; quando ad un tratto udirono nel buio un tintinnare di campanelle. Una folata d’aria perfino più gelida delle precedenti scompigliò i loro capelli. “Chi va là?” urlò Erik, serrando la mano sul suo coltello da cintura. Nel buio le campanelle tintinnarono ancora, e una dolce voce femminile rise, prima di rispondere: “Io sono la Regina dei Ghiacci, fanciullo.”
Una donna avanzò a passi eleganti, uscendo dal buio per farsi loro incontro nella radura, ed era la donna più bella ed eterea che Erik avesse mai visto. Bianchi come la neve erano i suoi lunghi capelli, adornati di campanelle di vetro; e azzurri come il ghiaccio erano i suoi occhi, freddi malgrado il dolce sorriso. Nonostante il gelo, indossava solo una nivea tunica senza maniche, e la sua pelle pareva quasi rifulgere nell’oscurità. Il suo sorriso si allargò, scoprendo candidi denti; ma essi erano affilati e aguzzi, come quelli di un predatore. “Cosa desiderate, bambini miei?” chiese, con voce come miele. “Ditelo alla vostra Regina, ed ella esaudirà i vostri desideri...”
A quelle parole Brenda pianse più forte, terrorizzata dalla donna; ma Erik si fece coraggio e rispose: “E’ buio, mia Regina, e non riusciamo a tornare a casa. Vorrei riuscire a vedere la strada per il villaggio. E poi...fa freddo, fa tanto freddo. Vorrei non avere così tanto freddo...” sussurrò, stringendosi le braccia attorno al corpo per conservare il poco calore rimasto.
“Molto bene, bambino mio...molto bene. Hai avuto il coraggio di fare delle richieste alla tua Regina...e dunque, avrai ciò che desideri” rispose lei, deliziata. La donna levò una mano, col palmo rivolto verso l’alto; e poi soffiò su di essa, rivolta verso il ragazzo.
Mille e mille aghi di sottilissimo ghiaccio si staccarono dal suo palmo e si conficcarono negli occhi di Erik, mentre il giovane urlava d’agonia, dimenandosi e portandosi le mani al volto; non poteva fare nulla per difendersi. Tentò di afferrare gli aghi per strapparseli dagli occhi, ma essi penetravano sempre più in profondità, graffiandogli le dita mentre cercava di estrarli. Lacrime scarlatte di sangue cadevano al suolo come pioggia, mentre attorno a loro d’un tratto infuriava una tempesta di neve. Poi il vento si placò ed Erik sbatté le palpebre: i suoi occhi erano intatti, e rilucevano d’un gelido azzurro. Poteva vedere ogni cosa nel buio, ogni dettaglio vivido come fosse in pieno giorno. Tuttavia, prima che potesse dire o fare alcunché la Regina dei Ghiacci gli fu dinnanzi. La sua bocca era distorta in un ghigno ferale e le sue mani erano adunche, con le dita ricurve e acuminate come temibili artigli. Come un coltello nel burro, infilò una mano nel suo petto, strappandone il cuore ancora fumante. Erik cadde a terra, mentre Brenda urlava disperata. Eppure, gli occhi del ragazzo rimanevano aperti, sconvolti, osservando la scena - la magia della Regina gli impediva di morire. La donna azzannò il suo cuore, divorandolo in pochi rapidi bocconi – ed Erik percepiva tutto, ogni singolo morso come fosse stato nella sua carne viva, il buco nel suo petto che ancora stillava sangue, ogni cosa, senza riuscire a morire. Poi la donna levò ancora la mano e su di essa la neve iniziò a turbinare, roteando sul suo palmo come in una minuscola tormenta. E una sfera di ghiaccio si addensò e crebbe, sospesa a mezz’aria sopra il suo palmo, fino a prendere la dimensione e le forme di un cuore umano. Sorridendo, la Regina si chinò sul corpo del giovane e gli ficcò il cuore di ghiaccio nel petto. “Ecco,” disse gentile, “ora potrai sempre vedere nel buio e non avrai più freddo, bambino mio.”
E la ferita di Erik si richiuse, ed egli si alzò da terra. Non aveva più freddo. Non sentiva più il gelo della notte, né la fame, né la stanchezza...non sentiva più nulla e non percepiva in sé più alcuna volontà o desiderio o sentimento...se non, ben chiari nella sua mente, quelli della sua Regina.
Il giovane si voltò a guardare la sorella, che era rimasta ammutolita e piangente per il terrore; poi, con un rapido gesto e un solo fendente, la uccise. La Regina gli si avvicinò e gli diede un dolce bacio sulla fronte. “Va’, piccolo mio,” gli disse. “Torna al tuo Clan, e rendimi fiero di te...”

Erik tornò al Clan la notte stessa. I genitori erano colmi di angoscia per l’assenza dei due fratelli; vedendolo tornare furono colti da grande gioia, tanto da non accorgersi che i suoi occhi erano cambiati. Il giovane raccontò che la sorella era caduta in un burrone mentre correva, e così era morta; sua madre fu colta da grande dolore a tale notizia, ma il ragazzo era il primogenito, perciò bastava loro la sua vita. Ed Erik non disse altro di ciò che era accaduto; ed era taciturno, ed era freddo, ma tutti nel Clan pensarono che fosse per il dolore della morte di Brenda…
La notte dopo, mentre il Clan dormiva, una grande ondata di gelo scese su tutte le tende; e tutti si sentivano torpidi e dalle membra pesanti, desiderando solo restare a dormire tra calde coperte. Ed Erik si destò, mentre gli altri languivano in un sonno innaturale; col suo pugnale sgozzò ogni membro del suo Clan e nascose i corpi sotto la neve, affinché si preservassero.
E nel cuore dell’inverno, nel giorno più corto e più freddo, la sua Regina giunse a risvegliarli, mettendo nel petto di ognuno un cuore di ghiaccio. Ed essi si levarono ai suoi comandi; e non sentivano più freddo, né il gelo della notte, né la fame, né la stanchezza...non sentivano più nulla, se non la volontà della loro Regina. Era nata la Corte dei Ghiacci.
E la Regina ne fu compiaciuta, e si allontanò nella foresta con il suo seguito dagli occhi di ghiaccio; e lì vaga da allora...nel buio e nel gelo delle notti d’inverno...pronta a prendere nella sua Corte ogni bambino tanto sciocco da allontanarsi dal focolare d’inverno!”

Lo sciamano concluse la sua storia con una mossa improvvisa, fingendo di ghermire un ragazzino incauto che, ammaliato dal racconto, si era sporto troppo verso di lui. Al sussulto impaurito del piccolo scoppiò a ridere, dandosi sonore manate sulle cosce. “Perciò, bambini!, non lasciate il campo nelle notti d’inverno. Perché la Regina dei Ghiacci è sempre a caccia, e vi porterà via con sé!” L’uomo rise di gusto, mentre i bambini, affascinati e spaventati al tempo stesso dalla macabra storia, si disperdevano ridacchiando nervosamente. Solo uno di loro si attardò, girandosi a fissare lo sciamano mentre si allontanava: un giovane dai lunghi capelli neri, quasi prossimo ad uscire dall’infanzia e ad unirsi ai cacciatori. Si fermò e, voltatosi indietro, scrutò lo sciamano con una lunga, seria, fredda occhiata penetrante. Poi, con un lieve sorriso, corse via dietro agli altri.

Lo sciamano sentì un brivido corrergli lungo la nuca, mentre una goccia di sudore gelato gli solcava la fronte. Li aveva sempre avuti così gli occhi, quel giovane? Così...chiari…?


°°°

Jerv concluse il racconto sghignazzando, davanti alla faccia costernata dei commilitoni dell’XXX che l’avevano ascoltata narrare quella storia nella storia. “Naturalmente,” proseguì, con compiaciuto cinismo “nella leggenda poi anche di quel Clan non se ne sa più niente...spariti nel nulla, ingoiati dall’inverno. Non è tanto strano.” Scrollò le spalle, con ostentata noncuranza. “L’inverno a Nord è una merda. Non serve una Regina dei Ghiacci per farvi fare una brutta fine lassù, se fate l’errore di stare fuori di notte. Quella è solo una leggenda, per quanto ne so...una leggenda per insegnare ai bambini stupidi a non allontanarsi dal campo, per non morire assiderati. Ma davvero...” la donna prese un generoso sorso dalla fiaschetta che le veniva offerta “...non fate cazzate, quando saremo là. Di notte, non state fuori per più di qualche minuto, se siete lontani dai fuochi. Altrimenti vi assiderate. Le dita si congelano per prime...diventano dure come legno, prima fanno male, poi non sentite più nulla, e quel punto si staccano dal corpo. L’umido degli occhi vi si congela sulle ciglia e vi cuce insieme le palpebre, tanto che non riuscite più ad aprire gli occhi, se non strappandovele...e a quel punto, anche i bulbi oculari si rattrappiscono e diventano un blocco di ghiaccio, e il dolore è come se ci entrassero mille aghi. E le mani e i piedi diventano neri. Poi...poi inizia il torpore. Vi sentite pieni di energia, come se andasse tutto bene...e poi all’improvviso stanchi, tanto stanchi, al punto da non riuscire più a tenere gli occhi aperti. E a quel punto vi sdraiate da qualche parte per dormire...e siete fottuti, perché non vi sveglierete mai più. Insomma...” la Skal strizzò un occhio agli altri soldati, intenti ad ascoltarla con aria vagamente terrorizzata. “...non fate minchiate, se davvero andremo lassù in pieno inverno.”

Matilde
Ribelli

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